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SLA

Cos'è la SLA

La SLA è una rara malattia neurodegenerativa dei motoneuroni per la quale ancora non esiste una cura.

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia del motoneurone (MND) conosciuta anche come malattia di Lou Gehrig, dal nome del famosissimo giocatore statunitense di baseball che ne fu colpito, o malattia di Charcot dal nome del neurologo francese che, per primo alla fine del 1800, la scoprì. Sebbene in questo lungo periodo di tempo siano stati realizzati importanti progressi nel campo della ricerca, rimane ancora una malattia per molti aspetti ignota.

Il significato letterale è: raggrinzimento (sclerosi) della porzione laterale (laterale) del midollo spinale e perdita del trofismo o nutrimento muscolare (amiotrofica).

È una rara patologia degenerativa dei motoneuroni, cioè delle cellule nervose localizzate nella corteccia cerebrale (1° motoneurone o motoneurone centrale), nel midollo spinale e nel tronco dell’encefalo (2° motoneurone o motoneurone periferico), responsabili del movimento di tutta la muscolatura volontaria. Il primo motoneurone si trova nella corteccia cerebrale e trasporta il segnale nervoso attraverso prolungamenti che dal cervello arrivano al midollo spinale; il secondo è invece formato dalle cellule nervose che trasportano il segnale dal midollo spinale ai muscoli.

La degenerazione progressiva dei motoneuroni nella SLA conduce alla loro morte. Quando i motoneuroni muoiono, la capacità del cervello di muovere il muscolo è irrimediabilmente perduta. Compromessa così l’azione volontaria dell’atto muscolare, i pazienti, nelle fasi successive della malattia, arrivano alla paralisi completa.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi la mente e le capacità intellettive rimangono inalterate.

Forme di SLA

Una prima distinzione tra le varie forme della SLA è tra familiare e sporadica:

SLA familiare o genetica

Nel 5-10% dei casi la SLA è una malattia ereditaria di carattere genetico con una trasmissione in genere dominante e raramente recessiva. Nel 12-20% dei casi ereditari è stato individuato un gene, quello che sintetizza la SOD1, la cui mutazione è responsabile della malattia. Sono state identificate oltre 100 diverse mutazioni di questo gene, con modalità di trasmissione (di “ereditarietà della patologia”), penetranza (probabilità che il discendente che ha ereditato il gene sviluppi la malattia) ed espressività (quadro clinico e prognosi) variabili. Sono statati finora classificati altri geni (tra i quali Alsyna, Senatassina e VAPB), ma nella maggior parte delle famiglie il difetto genetico rimane tuttora ignoto.
Nel caso in cui, nella stessa famiglia, ci sia stato almeno un’altro caso di SLA, allora è quasi certamente di tipo familiare.

SLA sporadica

Il restante 90-95% dei casi di SLA è della forma sporadica in cui non c’è alcuna familiarità genetica trasmissibile da padre in figlio. Non vi sono differenze tra la SLA geneticamente determinata e la SLA sporadica in quanto i quadri clinici sono sostanzialmente sovrapponibili.

La SLA, inoltre, può manifestarsi in due modalità principali, a seconda della zona motoneuronale colpita per prima:

Forma spinale

Nei due terzi dei casi la SLA si manifesta sotto questa forma ed è legata alla lesione iniziale dei motoneuroni del midollo spinale. In questo caso vengono colpiti per primi i muscoli degli arti.

Forma bulbare

Nel restante terzo dei casi la lesione dei motoneuroni interessa il tronco cerebrale/bulbare. Questa forma, più frequente nella donna, si manifesta generalmente in età più tardiva e si distingue per un’evoluzione più rapida. I sintomi iniziali sono legati alla difficoltà nel masticare, nell’ingoiare e nel parlare.

Pur lasciando inalterate le capacità cognitive, in una bassa percentuale di casi queste possono essere colpite:

SLA con demenza fronto-temporale

Alcuni pazienti vanno incontro allo sviluppo di demenza frontotemporale caratterizzata da profondi cambiamenti della personalità. Questa forma è più comune tra i malati con una storia familiare di demenza.

Questa distinzione, comunque, non è così netta in quanto la malattia può anche svilupparsi nelle due forme simultaneamente. Indipendentemente dalla forma iniziale, la malattia evolve inesorabilmente verso una forma “completa”.

Le cause della SLA

La SLA è stata delineata la prima volta da Jean Martin Charcot alla fine del 1800. Sebbene in questo lungo periodo di tempo siano stati realizzati importanti progressi nel campo della ricerca, le cause della degenerazione della cellula motoneuronale non è stato identificato.
Si pensa che la SLA sporadica sia una malattia genetica complessa. È possibile cioè che causa della SLA sia un difetto di costruzione di una proteina dei motoneuroni (per alterazione dei geni) ma che la malattia si determini solo in combinazione con altri fattori che possono essere altri geni alterati o fattori ambientali. Quindi anche se la causa è genetica, la malattia non è ereditaria perché si deve verificare la coincidenza di più fattori. Al contrario, nella SLA ereditaria è sufficiente che vi sia un solo elemento patologico genetico (come nel caso della mutazione del gene SOD) per determinare l’insorgenza della malattia che perciò può essere trasmessa ai familiari.

La SLA sporadica si delinea quindi come malattia multifattoriale, in cui svariati condizioni ambientali cooperano con fattori genetici predisponenti. La scoperta che una piccolissima parte (circa l’1%) dei casi di SLA, sia sporadiche che familiari, sia associata alla mutazione di un altro gene, che codifica la sintesi di una proteina chiamata angiogenina, rafforza l’idea che il campo della genetica possa essere tra i più fertili per l’individuazione delle cause della SLA.

È possibile che non esista una sola SLA ma forme diverse di SLA con meccanismi completamente differenti. Se questo è vero, è verosimile che l’insuccesso della ricerca sulla SLA sia riconducibile proprio al fatto che tutti gli studi effettuati finora abbiano considerato i pazienti affetti da SLA come un’unica entità. La possibilità di dividere i pazienti in gruppi differenti sulla base di determinate caratteristiche (età di esordio, prevalenza del motoneurone coinvolto, sede di esordio, tempo di evoluzione) e di studiarne separatamente le caratteristiche genetiche ed i fattori di rischio ambientale può rappresentare uno strumento nuovo di approccio.

I sintomi della SLA

Nella SLA sia il primo che il secondo motoneurone vanno incontro a degenerazione e muoiono. La loro morte avviene gradualmente e i motoneuroni rimasti, almeno in parte, sostituiscono nelle proprie funzioni quelli distrutti. I primi segni della malattia compaiono quando la perdita progressiva dei motoneuroni supera la capacità di compenso dei motoneuroni superstiti.

Nelle fasi iniziali della malattia, i sintomi della SLA possono essere talmente impercettibili da essere spesso trascurati.
Al primo manifestarsi della malattia, nella maggior parte dei casi si avvertono i seguenti sintomi, spesso combinati fra loro: debolezza muscolare nelle mani e/o nelle braccia, nelle gambe; fascicolazioni (vibrazioni incontrollate dei muscoli visibili come “guizzi” sottocutanei) e crampi muscolari (soprattutto notturni); difficoltà nella parola e debolezza del tono di voce; in alcuni casi più rari, alta frequenza del ritmo respiratorio e difficoltà nella deglutizione.

I sintomi iniziali della SLA sono solitamente diversi in persone diverse. L’indebolimento muscolare rappresenta una condizione iniziale nella SLA e si manifesta all’incirca nel 60% dei casi. Le mani e i piedi possono essere colpiti per primi, provocando difficoltà nel salire le scale, nel camminare con frequenti inciampi, nell’uso delle mani per attività quotidiane come vestirsi, lavarsi o mangiare.
Se per primi vengono colpiti i motoneuroni della regione bulbare, i muscoli interessati sono quelli responsabili della fonazione, della respirazione e della deglutizione, ed il paziente manifesta difficoltà nel masticare, nell’ingoiare e nel parlare. Diversamente, nella forma spinale, vengono colpiti per primi i muscoli degli arti. In alcuni pazienti si riscontrano dei periodi di riso e pianto incontrollato.

Poiché la SLA colpisce soltanto i motoneuroni, la vista, l’udito, l’olfatto, il tatto e il gusto, insieme alle funzioni sfinteriche e sessuali, rimangono intatti e perfettamente attivi. Nella maggior parte dei casi i muscoli che presiedono allo spostamento oculare non vengono colpiti.
Per quasi tutti i pazienti con SLA, la mente e tutte le attività intellettuali e cognitive non vengono intaccate nonostante la condizione di degenerazione progressiva del corpo.

I sintomi di insufficienza respiratoria

L’insufficienza respiratoria nelle persone affette da malattie neuromuscolari è dovuta al progressivo deterioramento della funzione meccanica per l’indebolimento generale dei muscoli preposti alla funzione respiratoria. Molto spesso i primi segni di insufficienza respiratoria (incapacità di inspirare ed espirare) passano inosservati perché il processo è lento e di difficile individuazione.

La mancanza di fiato, il sintomo classico di mancanza di ossigeno, può non presentarsi in queste persone tenuto conto che esse non compiono sforzi a causa della debolezza muscolare tipica della malattia. Possono, invece, essere presenti segni come fatica, sonno disturbato, incubi notturni e mal di testa, specialmente appena dopo il risveglio. Infatti, l’ipoventilazione notturna è spesso il primo sintomo che si rivela sia perché durante il sonno la respirazione è rallentata, sia perché l’addome spinge in alto il diaframma nella posizione distesa. Ansietà, stato confusionale, perdita di appetito e di peso, sono altri possibili segni di ipoventilazione. La voce fioca e la difficoltà nel tossire ed espellere le secrezioni bronchiali indicano che i muscoli respiratori stanno perdendo la loro forza.

I sintomi di insufficienza nutrizionale

La nutrizione è importante perché nei pazienti con SLA si può verificare perdita di peso, con riduzione del grasso e della massa muscolare corporea. Può quindi svilupparsi uno stato di malnutrizione. La perdita di peso e la malnutrizione possono essere causa di complicanze precoci, soprattutto di quelle legate alla respirazione. I pazienti con la SLA possono perdere peso per diversi motivi: tra questi la difficoltà a portare il cibo alla bocca, a deglutire (disfagia), l’aumento dei fabbisogni nutritivi e la mancanza dello stimolo nervoso al muscolo, che fa ridurre la massa muscolare.

La progressione della SLA

Durante la sua progressione, la SLA continua a compromettere la muscolatura corporea arrivando a colpire inesorabilmente la parola, la masticazione, la deglutizione e la respirazione.

I sintomi possono essere molto diversi fra loro, ma in ogni caso la progressione della malattia conduce sempre all’indebolimento dei muscoli volontari del corpo e alla paralisi totale. La velocità con cui la malattia progredisce nel tempo può variare sensibilmente da persona a persona e non è prevedibile. Sebbene la speranza di vita per un malato di SLA sia in media compresa fra i tre e i cinque anni, di fatto la progressione può essere fulminea (un anno) o anche molto lunga (una decina d’anni e anche più).

In un ridottissimo numero di casi la SLA ha addirittura rallentato o frenato del tutto la sua progressione, ma di ciò la scienza non ha potuto e non può a tutt’oggi fornire una spiegazione plausibile. Non esistono però casi in letteratura scientifica in cui la SLA sia regredita.

Gli esami diagnostici nella SLA

Non esistono test specifici per diagnosticare la SLA. Essa può emergere attraverso una serie di esami diagnostici effettuati dal neurologo atti ad escludere tutte quelle patologie che possono essere confuse con la SLA e che presentano analoghi sintomi iniziali. Gli esami vanno ripetuti a intervalli regolari per valutare se sintomi come la debolezza muscolare, l’atrofia dei muscoli e la spasticità stiano peggiorando.

A valle degli esami diagnostici, la diagnosi è basata fortemente sui sintomi e sui segni che lo specialista osserva nel paziente: è importante quindi che essa sia certificata da un neurologo esperto che abbia una consolidata esperienza con la malattia.

I principali esami diagnostici sono:

Elettromiografia (EMG)

L’elettromiografia è la tecnica diagnostica impiegata per registrare l’attività elettrica legata alla contrazione muscolare e per studiare le variazioni qualitative e quantitative dei “potenziali d’azione” sia del muscolo, sia delle singole fibre muscolari. Si effettua la registrazione mediante elettrodi (di superficie o ad ago), applicati in corrispondenza del muscolo da esaminare, o mediante speciali microelettrodi, che registrano direttamente dall’interno di singole fibre muscolari. Attraverso questo esame il medico può registrare l’attività elettrica sia a riposo sia durante una contrazione volontaria. L’elettromiografia fornisce principalmente un’indicazione sullo stato di salute del muscolo: a riposo un muscolo sano non mostra attività elettrica, mentre un muscolo danneggiato, o che ha perso il contatto con i neuroni (come nella SLA), presenta un’attività elettrica spontanea. Durante una contrazione volontaria, un muscolo distrofico presenterà un’attività elettrica molto bassa rispetto a quella di un tessuto sano, mentre un muscolo rigido (crampo) mostrerà un’attività elettrica molto prolungata nel tempo. In determinati casi l’alterazione del profilo elettrico del muscolo indica una lesione nervosa.
L’elettromiografia è la tecnica diagnostica fondamentale per rilevare malattie neuromuscolari.

Elettroneurografia

Misura la velocità di conduzione motoria (VCM) e sensitiva (VCS) dei singoli tronchi nervosi stimolati con scosse elettriche applicate in uno o più punti lungo il decorso dei nervi. L’effetto dello stimolo elettrico è la comparsa di “potenziali d’azione” motori o sensitivi che, se in presenza di neuropatie, presentano alterazioni del segnale.

Risonanza Magnetica Nucleare (RMN)

La risonanza magnetica nucleare è la tecnica neuroradiologica (sia cranica che della colonna vertebrale) che, sfruttando le proprietà di un campo magnetico, è capace di dare un’immagine dei tessuti, evidenziandone, tramite diverse gradazioni di grigio, la densità. La RMN cerebrale è utile nella diagnosi di patologie in cui si sospetta il coinvolgimento di un tessuto particolarmente ricco in atomi di idrogeno, cioè di acqua, come il tessuto cerebrale. In questo caso la tecnica consente di studiare sia la struttura della corteccia cerebrale sia la sostanza bianca. È molto utile nello studio di malattie come la Sclerosi Laterale Amiotrofica per verificare che i sintomi del paziente non siano dovuti ad anomalie del midollo spinale (situato nella colonna vertebrale) o del cervello.

Biopsia muscolare

La biopsia muscolare consiste in un’analisi che comporta il prelievo di tessuti o cellule da sottoporre a esame microscopico. La biopsia muscolare è un prelievo a fini diagnostici di un frammento di muscolo della coscia o del braccio. Il trattamento con diverse sostanze reagenti e coloranti del tessuto prelevato (esame istologico) può evidenziare al microscopio particolari alterazioni delle cellule muscolari e dei loro componenti, dovute a patologie neuromuscolari. Si può anche effettuare la biopsia del nervo.

Rachicentesi

La rachicentesi è una puntura lombare di prelievo del liquido che circola intorno al midollo spinale per verificare l’assenza di infezioni.

Esami del sangue e delle urine

Esami standard per escludere altre malattie infiammatorie, infettive, tumorali, tiroidee e autoimmuni.

I trattamenti

Non esiste attualmente una cura per questa malattia.
L’unico farmaco disponibile per la terapia della SLA è il riluzolo che interviene sul metabolismo del glutammato riducendone la disponibilità a livello delle sinapsi neuronali: alcuni studi hanno infatti evidenziato il ruolo negativo di un eccesso di glutammato sui motoneuroni.

Il riluzolo, purtroppo, anche se ha rappresentato un indubbio passo in avanti, in alcuni casi può presentare degli effetti collaterali e comunque rallenta solo di alcuni mesi la progressione della malattia. Generalmente viene prescritto anche nel caso di una sospetta SLA.

Altri trattamenti per la SLA sono mirati a rendere meno gravi i sintomi e a migliorare la qualità della vita dei pazienti.

Tali trattamenti sono forniti da team multidisciplinari costituiti da specialisti quali il neurologo, il nutrizionista, lo pneumologo, l’otorino, il palliativista, il fisiatra, lo psicologo, il fisioterapista motorio e respiratorio, il terapista occupazionale, il logopedista, l’infermiere e gli esperti nella comunicazione aumentativa/alternativa. Lavorando con i pazienti, questi team possono elaborare un piano individualizzato di terapia medica e fisica e fornire apparecchiature speciali destinate a mantenere i pazienti nella migliore condizione di mobilità e comfort che si possa ragionevolmente raggiungere.

I medici possono prescrivere farmaci per ridurre l’affaticamento, gli spasmi muscolari, la spasticità e per ridurre l’eccesso di saliva e catarro, oltre ad alleviare la depressione, i disturbi del sonno e la stipsi.

Una terapia fisica appropriata unita all’uso di particolari ausili può accrescere l’indipendenza e la sicurezza dei pazienti durante il decorso della malattia. Nel caso della SLA l’obiettivo della fisioterapia non è il recupero di una funzione normale ma la conservazione di una certa autonomia nei movimenti e la prevenzione delle complicazioni della ridotta mobilità. Con l’aiuto dei fisioterapisti, un esercizio aerobico di basso consumo può rinforzare i muscoli non ancora compromessi, migliorare la circolazione cardiovascolare ed aiutare i pazienti a combattere l’affaticamento; gli esercizi d’allungamento possono contribuire ad impedire lo spasticismo doloroso e le contratture dei muscoli. I terapisti occupazionali possono suggerire i dispositivi utili per abbattere le barriere architettoniche nella propria abitazione e per rendere la propria vita domestica più agevole.

I pazienti affetti da SLA, che hanno difficoltà nel linguaggio, possono trarre beneficio dall’intervento di un logoterapist. Grazie a delle opportune strategie ed esercizi mirati a conservare quanto più a lungo possibile le loro capacità fonatorie. Mentre la SLA progredisce, i logoterapisti e gli esperti in comunicazione aumentativa/alternativa possono suggerire l’uso di modi di comunicare adattabili o alternativi, quali gli amplificatori di voce, i dispositivi generatori di dialoghi (o propagatori di voce) e/o le tecniche base di comunicazione, quali tabelle alfabetiche o segnali di sì/no, fino ai comunicatori ad alto contenuto tecnologico. Questi metodi e dispositivi aiutano i pazienti a comunicare quando essi non possono più parlare o produrre suoni vocali. I comunicatori possono essere attivati mediante interruttori o tecniche d’emulazione del mouse, controllati da piccoli movimenti fisici, per esempio, della testa, della dita o degli occhi.

Dietro prescrizione di un nutrizionista, i pazienti e coloro che li assistono possono imparare a preparare numerosi piccoli pasti durante il giorno garantendo il giusto apporto di calorie, fibre e liquidi, adottando le tecniche e gli accorgimenti per evitare che gli alimenti vengano mal assimilati. Dovranno, poi, essere adottati dei dispositivi d’aspirazione per rimuovere i liquidi o la saliva in eccesso in bocca. Quando queste tecniche non sono più sufficienti per garantire un giusto apporto nutrizionale in sicurezza, il medico proporrà il posizionamento di una gastrostomia percutanea (PEG) la quale riduce il rischio di soffocamento e di polmonite derivante dall’inalazione di liquidi nei polmoni, segnando il passaggio alla nutrizione artificiale. Ciò non impedisce ai pazienti di assumere alcuni alimenti oralmente se sono in grado di deglutirli.

Quando i muscoli respiratori si indeboliscono, è indicato l’uso di respiratori meccanici non invasivi per l’assistenza ventilatoria. Tali dispositivi insufflano artificialmente aria nei polmoni tramite maschere facciali che sono applicate direttamente sul viso. Man mano che i muscoli non riusciranno più a garantire il giusto apporto di ossigeno nel sangue, questi dispositivi potranno essere utilizzati progressivamente per più ore al giorno.

Nelle fasi più avanzate della malattia, e laddove la respirazione non invasiva non sia più in grado di colmare il deficit respiratorio, per continuare a vivere il paziente dovrà necessariamente ricorrere alla ventilazione meccanica invasiva. Anche se il supporto ventilatorio può migliorare i problemi respiratori e prolungare la sopravvivenza del paziente, non incide sulla progressione della SLA. L’intervento di tracheostomia deve essere pienamente condiviso nel rispetto delle volontà del paziente ed è fondamentale un continuo dialogo medico-paziente per assicurare la piena informazione sulle implicazioni della scelta. Nel caso in cui il paziente non accetti l’intervento di tracheostomia, dovrà essere accompagnato ad un percorso di palliazione, garantendo a lui stesso e ai suoi familiari tutto il sostegno necessario.

Malattie del motoneurone

La SLA, pur essendo rara, è comunque la più diffusa tra le malattie del motoneurone. Altre malattie del motoneurone sono rappresentate dall’atrofia muscolare progressiva, in cui è interessato solo il motoneurone periferico (forma pseudopolineuritica della MND), la paralisi bulbare progressiva, in cui il processo degenerativo interessa soprattutto i motoneuroni dei nuclei dei nervi cranici bulbari, e la sclerosi laterale primaria (SLP), in cui è prevalentemente interessato il motoneurone centrale.

Atrofia muscolare progressiva

L’atrofia muscolare progressiva, nota anche con l’acronimo AMP, è una malattia configurabile attualmente quale rara forma di malattia del motoneurone. Pur essendo stata considerata, probabilmente in modo erroneo, soltanto una variante clinica della Sclerosi Laterale Amiotrofica, se ne differenzia, oltre che per alcuni aspetti sintomatologici, per una sopravvivenza anche di 25 anni.
In contrasto con la SLA, l’evoluzione si distingue per l’assenza di riflessi vivaci, spasticità, segno di Babinski e labilità emotiva. L’evoluzione è più benigna rispetto alla SLA. La perdita di forza e l’atrofia iniziano alle mani, progrediscono alle braccia, alle spalle, alle gambe e diventano infine generalizzate; le fascicolazioni possono costituire la manifestazione clinica più precoce della malattia.

Paralisi bulbare progressiva

Nella paralisi bulbare progressiva sono maggiormente interessati i muscoli innervati dai nervi cranici e i tratti corticobulbari. La masticazione, la deglutizione e la parola sono pertanto notevolmente compromesse; si può riscontrare anche una sintomatologia pseudobulbare, con stato psichico labile e reazioni emotive inappropriate. La disfagia indica una prognosi particolarmente infausta e la morte sopravviene in media in 1-3 anni spesso per complicanze respiratorie.

Sclerosi laterale primaria

La sclerosi laterale primaria, SLP, può essere distinta dalla SLA sulla base di caratteristiche cliniche e patologiche: la prima è caratterizzata da un decorso clinico assai più lungo, da un esclusivo coinvolgimento del primo motoneurone, dalla perdita dei neuroni piramidali precentrali e da un risparmio delle cellule delle corna anteriori; la seconda, invece, ha un decorso clinico molto più veloce nel quale vengono coinvolti sia il primo che il secondo motoneurone.
Generalmente la patologia inizia in modo insidioso: nella quinta o nella sesta decade con rigidità prima di una gamba, poi dell’altra; c’è un rallentamento dell’andatura, con il prevalere, con il passare del tempo, della spasticità rispetto alla debolezza. Con l’ausilio di un bastone è possibile camminare ancora per molti anni dopo l’esordio, ma alla fine questa condizione acquisisce le caratteristiche peculiari di una grave paraparesi spastica. I movimenti delle dita diventano sempre più lenti, gli arti superiori divengono spastici e, se la malattia persiste per decenni, il linguaggio assume il tono pseudobulbare. Non sono presenti segni e sintomi sensitivi. La forza degli arti inferiori viene spesso trovata sorprendentemente buona; la difficoltà alla locomozione infatti è principalmente attribuibile alla spasticità. Più raramente la spasticità comincia nei muscoli orofaringei. Circa la metà dei pazienti acquisisce inoltre spasticità alla vescica.
Secondo lo studio di Tartaglia MC et al., un paziente con spasticità che non sviluppa atrofia entro 3 anni è con molta probabilità affetto da sclerosi laterale primaria.