Colloqui di orientamento: intervista a Emanuela Pisano
La “Rete di supporto ai malati di SLA e ai loro familiari” è il progetto che, da anni, consente di offrire ai malati di SLA e alle loro famiglie una rete di sostegno in grado di permettergli di arginare l’impatto devastante che impone la malattia non solo sul malato, ma sull’intero nucleo familiare.
Tra i servizi offerti dal progetto, i colloqui di orientamento rappresentano il più concreto aiuto che l’Associazione offre alle famiglie mettendo a disposizione l’esperienza maturata in questi anni nell’affrontare nel migliore dei modi il difficile cammino della malattia. Il servizio è finanziato da anni dall’8 per mille della Tavola Valdese ed è gestito dalla dott.ssa Emanuela Pisano coadiuvata, all’occorrenza, dalla psicologa dell’Associazione.
Dott.ssa Pisano, quanto sono realmente informate le persone sulla malattia e sul suo decorso?
«Nonostante negli ultimi anni sia sensibilmente cresciuta la visibilità della SLA, purtroppo molto spesso chi riceve la diagnosi si trova ad essere sguarnito delle informazioni necessarie per affrontare la malattia e rimane in balia di mille domande e dubbi, avendo a disposizione solo il materiale reperibile online: l’obiettivo dei colloqui di orientamento è proprio quello di sgomberare il campo da informazioni parziali o inesatte, offrendo una comunicazione precisa e adeguata alla singola situazione, dosando la comunicazione rispetto ai bisogni e al livello di consapevolezza. Il colloquio individuale diventa dunque uno spazio protetto in cui acquisire informazioni e far emergere dubbi, timori e domande.»
Le famiglie conoscono ciò di cui hanno diritto?
«Spesso l’enormità dell’impatto con la malattia lascia poco spazio all’acquisizione di consapevolezza e informazioni: si tende in un primo momento ad orientare la ricerca di informazioni al decorso della patologia, alla ricerca e ai trattamenti terapeutici, trascurando gli aspetti burocratici e, conseguentemente, la conoscenza dei propri diritti. Ripeto spesso ai malati e alle famiglie che l’acquisizione della conoscenza è il primo passo per affrontare con consapevolezza la patologia e maturare le proprie scelte nel cammino della SLA.»
Quali sono le domande più frequenti che riceve?
«Il colloquio rappresenta uno spazio protetto in cui è possibile far emergere paure e dubbi: nella maggior parte dei casi le domande riguardano il decorso e la tempistica di evoluzione della malattia ma anche le prospettive future e le scelte di fine vita. Una buona parte del colloquio viene dedicata a raccontare cosa significa scegliere di vivere attaccati ad un respiratore in totale immobilità e quali sono le possibilità di essere assistiti nel caso in cui si decida di non essere sottoposti alla ventilazione invasiva: il vuoto normativo che nel nostro Paese accompagna le tematiche del fine vita fa sì che ci sia grande disinformazione e che non si prendano in considerazione le reali possibilità offerte dalle cure palliative.»
Ritiene che le richieste di aiuto che riceve coincidono con i bisogni reali?
«Solitamente chi si rivolge all’Associazione avverte la necessità di essere aiutato, ma nella maggior parte dei casi non è in grado di focalizzare i propri bisogni: nel colloquio oltre a fornire informazioni, tentiamo di riorganizzare insieme le idee e di far emergere bisogni che non vengono facilmente espressi. I familiari tendono a sottovalutare i propri bisogni e a ignorare se stessi in favore del proprio caro: è nostro compito preservare tanto il benessere del malato quanto quello di chi lo assiste e questo possiamo farlo incoraggiando i caregiver a preservare tempi, spazi e forze per una battaglia che, lungi dall’essere una gara di velocità (come purtroppo accade in altre patologie), si rivela spesso una gara di resistenza. I malati, dal canto loro, spesso ritengono di non avere la possibilità di scegliere nulla, data la grave privazione imposta dalla SLA: nei colloqui restituiamo loro la dimensione della qualità della vita aiutandoli a identificare i loro bisogni e a perseguirli.»
Negli anni, ritiene che le condizioni dei malati siano migliorate o peggiorate?Perché?
«Ritengo che le condizioni dei malati siano sicuramente migliorate negli anni ma la strada da fare è ancora piuttosto lunga: sono migliorate, anche se in maniera disomogenea, le condizioni assistenziali che influiscono sensibilmente sull’aspettativa di vita, sono maggiori le conoscenze degli operatori del settore, delle Istituzioni e dell’opinione pubblica ma ancora siamo molto lontani dal garantire pieni diritti a tutti e da una cultura incentrata sulla persona e sui suoi bisogni. I caregiver sopportano ancora la maggior parte del carico assistenziale essendo sottoposti ad un’usura devastante, ad alcuni malati non vengono offerte le informazioni necessarie ad operare delle scelte, non esiste un sistema di presa in carico istituzionale organico ed efficiente. Molto è ancora affidato alla buona volontà dei singoli.»
Le famiglie conoscono i servizi dell’Associazione?
«Le famiglie stanno imparando a conoscere i servizi dell’Associazione ma molti restano ancora stupiti nell’apprendere che grazie ad essi i propri cari possono essere accompagnati, oltre che alle visite in ospedale, al mare, a mostre e concerti, in vacanza o alla comunione del nipotino. Spesso offrendo la possibilità di effettuare al domicilio visite ed esami diagnostici in caso di acuzie, solleviamo i familiari dalla preoccupazione di trasportare il malato in Pronto soccorso esponendolo al rischio di complicanze e disagi. I familiari escono dai colloqui arricchiti di informazioni ma anche sollevati dalla prospettiva di avere un supporto materiale e significativo in caso di necessità.»