Sintesi della III Conferenza regionale del Lazio sulla SLA

Interventi dei relatori
- Mauro Pichezzi
Presidente di Viva la Vita onlus
Il Lazio si distingue da tanti anni per consentire alle persone affette da SLA e ai gravissimi disabili in genere di vivere dignitosamente a casa propria con la loro malattia. Ci sono però dei problemi, ed è per questo che l’Associazione continua a sollecitare le Istituzioni affinché questi problemi vengano superati. Di 207 persone con SLA in contatto con Viva la Vita onlus, circa la metà è in ventilazione meccanica invasiva ed il 30% di essi è assistita h24. Dai dati in possesso dell’Associazione, l’intensità assistenziale a domicilio erogata dalle ASL per i malati in stadio avanzato è molto difforme sul territorio: mentre le ASL Roma A, Roma H e Latina erogano a casa modelli assistenziali con copertura minima di 12 ore al giorno, altre, come la ASL Roma D, registra una media di 6 ore. Il quadro si complica andando ad analizzare le singole ASL in cui la difformità interna è ancora più pronunciata. Tutto questo è il risultato della mancanza di un modello sulla Regione. Le criticità rilevate sulla Regione Lazio sono tante e sono purtroppo le stesse della I Conferenza sulla SLA del 2006: difformità assistenziale sul territorio; mancato accreditamento degli Home Care Provider, cioè di quei soggetti qualificati ad assistere i malati; non è stato ancora recepito dalla Regione il decreto sulla possibilità di abilitare alcune categorie professionali a broncoaspirare un malato in ventilazione invasiva, decreto promosso a livello nazionale da Viva la Vita onlus che poteva aprire la strada ad una reale integrazione socio sanitaria per un malato complesso; discontinuità ospedale-territorio, poiché non c’è un canale aperto di comunicazione tra ospedale e territorio se non per buona volontà di alcuni operatori; mancanza di trasporti secondari, per la quale l’Associazione ha stretto una convenzione con CRI per sopperire a questa grave carenza; sono pochi i centri ospedalieri di riferimento riconosciuti, nel Lazio solo due; carenza di strutture di cure intermedie per il transito post acuzie e per il sollievo; carenze di centri di cure palliative e la mancanza del rispetto delle volontà del paziente; la mancanza di reale integrazione tra sociale e sanitario; il sostegno sociale è spot e disomogeneo; criticità nel percorso di erogazione dei comunicatori che si sta risolvendo ed infine il mancato rifinanziamento della seconda tranche per il modello assistenziale sulle ASL Roma A e Roma C.
- Alessandra Mecozzi
Dirigente dell’Ufficio Assistenza Protesica dell’Area Politica del Farmaco della Direzione Regionale Salute e Integrazione Sociosanitaria della Regione Lazio
Gli ausili per la comunicazione scontano una vecchia legislazione a livello nazionale poiché, quando vennero inseriti nel nomenclatore tarifarrio nel 1999, si considerò la tecnologia allora presente. Gli interventi negli anni nel Lazio per assicurare questi ausili non previsti dal nomenclatore furono diversi: il primo fu nel 2006 con la det. 761 grazie alla quale il Lazio fu la prima regione in Italia che li erogò. In questa determina vennero elencate tutte le specifiche degli ausili necessari; venne inoltre disegnato il percorso dandone la gestione al S. Filippo Neri di Roma, ponendo molta attenzione alle modalità di riciclo. Nei primi mesi del 2015 i fondi dedicati al percorso sono finiti senza averne a disposizione di nuovi. La Regione Lazio ha deciso, quindi, di incardinare gli ausili per comunicare all’interno del loro sito naturale, l’assistenza protesica, e di erogarli ricomprendendoli nel “vetusto” Nomenclatore tariffario anche per rendere il provvedimento strutturale: ciò è esplicato nella recentissima determina regionale che regolarizza questa nuova procedura. La chiave è stata quella di utilizzare uno strumento previsto dal nomenclatore, che è la riconducibilità “per omogeneità funzionale”, insieme alle caratteristiche già elencate nella det. 761/06. Il limite della riconducibilità, che è la differenza a carico dell’assistito, è possibile aggirarlo considerando l’intero sistema di acquisto e riuso che abbatte notevolmente i costi: difatti, dai dati del S. Filippo Neri, negli ultimi anni si è riusciti a mantenere una stabilità di spesa tale che il costo medio per assisto è paragonabile con il limite imposto dal nomenclatore. Il nuovo percorso, nella sostanza, rimane invariato.
- Rita Visini
Assessore alle Politiche Sociali e Sport della Regione Lazio
La Regione Lazio, da 15 anni, non ha ancora recepito la legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali nazionale 328/2000; entro giugno, finalmente, la Regione emanerà una direttiva per allinearsi. Questa mancanza è una delle cause per cui l’erogazione dei servizi sul territorio è a macchia di leopardo. Da una verifica per capire come sono stati ulilizzati i fondi per la non autosufficienza erogati dalla Regione negli ultimi tre trienni, si è scoperto che più della metà degli Uffici di Piano non avevano speso i fondi erogati. L’apice è stato un distretto che, in nove anni, non ha aveva speso fino a 11 milioni di euro, altri distretti invece hanno speso fino all’ultimo centesimo. Per il fondo SLA, «nel 2014 le risorse impegnate sono state aumentate da 3,5 milioni del 2013 a quasi 5 milioni di euro, nel 2015 saliranno ancora perché l’impegno è quello di sostenere con l’assegno di cura tutti quelli che ne faranno richiesta sulla base dei parametri fissati dal piano regionale». L’assistenza domiciliare – dichiara Rita Visini – è un punto strategico dell’Assessorato, non solo per i malati di SLA ma per tutte le persone non autosufficienti. Il Governo ha recentemente tagliato altri 700 milioni e questa Regione, che vuole uscire agli inizi del 2016 dal piano di rientro, se non trova una copertura sarà costretta a congelare i fondi per la non autosufficienza e per le politiche sociali. In questi giorni la Regione si sta adoperando a trovare una risposta per coprire questo ulteriore taglio. In questa settimana inoltre la Regione ha sbloccato i fondi per i corsi dedicati agli assistenti familiari per i malati di SLA, demandati all’Asap. All’interno dei corsi, il percorso di informazione vedrà parte attiva l’associazionismo. L’Assessorato, infine, ha dato l’avvio al Registro di patologia per la SLA grazie a una convenzione con l’Istituto Superiore di Sanità: sarà il quarto registro regionale esistente in Italia, ma sarà il primo a unire i dati sanitari con quelli sociali con l’intento di sostenere i PDTA integrati.
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Erica Battaglia
Presidente della Commissione Assembleare di Roma Capitale Politiche Sociali e della Salute
Esiste un Ufficio di monitoraggio sui fondi per la SLA attivato dal Comune di Roma. L’On. Battaglia ha preso l’impegno di riattivare il tavolo e di coinvolgere l’associazione Viva la Vita onlus in un percorso di condivisione sullo stato di avanzamento per ragionare e ipotizzare, insieme, i controlli eventualmente da inserire. L’intervento ha inoltre messo in luce le difficoltà e le criticità dell’attuale sistema sociale e socio sanitario di Roma: «L’integrazione socio sanitaria, a Roma, avviene per volontà degli operatori e non perché ci siano percorsi codificati o obblighi». All’insediamento della nuova giunta il disavanzo trovato ammontava a 800 milioni, con l’obbligo del Governo al piano di rientro. L’intento della giunta Marino è quello di uscirne entro un anno e mezzo affinché si possa garantire fondi certi e programmare servizi, senza andare in proroga. Una delle più grandi criticità è che il modello assistenziale è quello degli anni 80 e 90, che non tiene conto dei cambiamenti sociali e che dà per scontato l’apporto di un nucleo familiare sempre presente: ma così non è e di questo è necessario tenerne conto.
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Alessandra Di Pucchio
Istituto Superiore di Sanità
‘idea del registro di patologia della SLA viene dalla DGR 233/12 e nel luglio del 2014 questo compito è stato assegnato all’Istituto Superiore di Sanità, con referente scientifico il dott. Nicola Vanacore. È al momento un progetto isolato dalla redazione di un PDTA, azione fondamentale che andrebbe associata al registro stesso. In relazione alle molteplici criticità evidenziate, nasce l’esigenza di poter disporre di numeri certi per poter programmare le azioni regionali con appropriatezza e di poter disporre di schede di raccolta dati comuni tra ospedale e territorio. Per come è stato concepito dalla Regione, l’inserimento del paziente nel registro è una delle condizioni per accedere all’assegno di cura e quindi il suo pololamento non potrà essere volontaristico. Lo step iniziale a cui sta lavorando in questo momento il gruppo di lavoro dell’ISS è l’identificazione dei centri clinici che hanno in carico le persone con SLA. A partire da questi dati si potranno avere delle stime di incidenza e prevalenza e dare degli elementi utili per l’identificazione di indicatori utili per la costituzione di un PDTA. Si sta pensando alla costituzione di un comitato tecnico scientifico per mettere insieme le esperienze e definire le modalità di lavoro, con la consapevolezza che questo registro, a differenza delle altre esperienze in Italia, avrà la peculiarità di raccogliere dati sia nell’ambito sanitario che sociale. I dati del registro laziale confluiranno inoltre in quello europeo, quindi la sua importanza è molto rilevante, ed inoltre potranno costituire la base per importanti ricerche scientifiche. Considerando i tassi di prevalenza e d’incidenza del registro piemontese e applicandoli nella Regione Lazio, il numero di casi attesi è 378 e 165 nuovi casi in un anno: questo dà l’idea dei dati che un registro di buona qualità può dare.
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Mariella Masselli
Dirigente responsabile TSRDA Distretto 12 ASL Roma C
La realizzazione di un percorso per il malati di SLA nella ASL Roma C nasce dalle linee guida del 2006 della Regione Lazio. I cardini di questo percorso sono: l’intercettazione precoce del bisogno; il collegamento stetto tra territorio e ospedale, ed in particolare con il S. Eugenio (reparti di neurologia, otorinolaringoiatria, nutrizione clinica, e rianimazione); l’informatizzazione dei dati rilevati; l’acquisizione di nuova strumentazione diagnostica e di monitoraggio; l’introduzione di figure di alta specializzazione, in particolare una pneumologa dedicata alla SLA condivisa tra ospedale e territorio. Inoltre sono stati attivati corsi di formazione per personale sanitario ed è stato istituito un gruppo di lavoro con personale ASL e dell’ospedale soprattutto per il monitoraggio delle procedure e per l’analisi del batabase. È stata istituita una Centrale operativa e di ascolto, attiva per 6 giorni su 7 e fino a 11 ore al giorno, che ha avuto più di 1100 contatti, ha effettuato più di 300 visite e valutazioni domiciliari ed è stato realizzato un fascicolo sanitario elettronico che raccoglie dati clinici, sociali e sanitari monitorando l’andamento nel tempo anche in relazione ai costi. Grazie a questo percorso dedicato, si è passati dal 2012 al 2014 ad intercettare da 34 casi a 54 casi, con un tasso di prevalenza del 2012 pari a 6,1 e salito a 9,7 nel 2014. Le criticità sono tante, una per tutte è legata alla difficoltà di integrazione sia a livelo interservizio nell’Azienda che con i soggetti esterni; un’altra criticità è l’esclusione del territorio dai progetti di ricerca clinica che devono essere estesi anche all’assistenza. Non per ultimo, il mancato rifinanziamento della seconda tranche del progetto ha interrotto la collaborazione preziosa con la pneumologa e ha fatto ridurre le ore di lavoro della centrale operativa. Questa esperienza ha portato ad individuare alcuni punti che andrebbero sviluppati: il potenziamento delle funzioni della centrale operativa; la semplificazione delle procedure amministrative alle quali sono costretti i familiari dei malati; il team ospedale-territorio a più alta specializzazione; il supporto psicologico ai malati e alle famiglie; il telemonitoraggio; l’attivazione di strutture intermedie e l’attivazione di un osservatorio per la valorizzazione di tutti i dati raccolti.
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Fabio De Angelis
Direttore Distretto 2 ASL Roma A
La ASL Roma A è sempre stata un’azienda con una forte vocazione territoriale ed il primo paziente con SLA portato a casa fu nel 2003. Non avendo un ospedale territoriale, il partner ospedaliero doveva essere il Policlinico Umberto I che comunque insiste sul territorio e che segue gran parte dei pazienti con SLA della ASL Roma A. I pazienti noti sono 40, suddivisi per distretto e per stadio di patologia. Il percorso ha previsto un rinforzo infermieristico presso il Policlinico Umberto I per i pazienti ricoverati, accessi specialistici a domicilio per i primi stadi di patologia (pneumologo, otorino, logopedista, foniatra, psicologo, fisioterapista, degluttologo), formazione del personale medico e la creazione di una banca dati tra ospedale e territorio. Quest’ultimo obiettivo non è stato raggiunto. Le criticità riscontrate sono state il ritardo nell’attivazione del percorso ospedaliero all’interno del Policlinico Umberto I e le difficoltà di integrazione tra i distretti della ALS. Ciò che di buono è stato fatto è solo grazie alla buona volontà degli operatori. Attualmente il percorso è interrotto e la ASL Roma A è in attesa di ricevere la II tranche da parte della Regione.
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Cristian Cucchiella
Info Solution
Info Solution è un’azienda di ingegneria che si è occupata di ricerca, innovazione e sviluppo con il progetto “On” di telemedicina per i malati di SLA finanziato dalla Regione Lazio. Da lì è nato il prodotto Noesis. La tecnologia è uno strumento utile per migliorare l’assistenza attraverso il monitoraggio dello stato delle condizioni di salute del paziente. Sono stati considerati quattro aspetti di bisogno a diversi livelli: la motricità, la comunicazione, la respirazione e la nutrizione. Il sistema di telemedicina di Noesis si connette in modo assistito, non automatico: acquisisce quindi a richiesta i parametri che si mettono a disposizione del medico attraverso un cloud che punta sul server così da poter visualizzare i dati attraverso un’interfaccia web. La funzione respiratoria viene valutata con un pulsiossimetro e un elettrocardiogramma, la fonazione e la deglutizione con un laringofono, la mobilità con un dinamometro. Non sono dispositivi diagnostici, non sono invasivi e danno un ordine dell’evoluzione dell’ingravescenza della malattia.
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Francesco Giuffrida
OSA – Operatori Sanitari Associati
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Adriano Palossi
Vivisol SOL Group